di Ilaria Fragnito
La primavera è la stagione della rinascita e quest’anno è stata inaugurata da un’ondata di freschezza e prime volte nel panorama sportivo internazionale. Nel corso della 144esima sessione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) in Grecia, infatti, lo scorso 20 marzo Kirsty Coventry è stata eletta nuova presidente dell’organizzazione, raccogliendo l’eredità di Thomas Bach, suo predecessore.
L’ex nuotatrice zimbabwese è diventata in un colpo solo la prima donna e la prima africana a ricoprire la carica più prestigiosa nel mondo sportivo, aggiungendo a questo anche il fatto di esserci riuscita come la più giovane di sempre, a soli 41 anni. In realtà, la carriera politica di Coventry è stata caratterizzata fin dall’inizio dalla sua precocità. Pur avendo appeso la cuffietta al chiodo alla sua quinta Olimpiade, quella di Rio 2016, già nel 2013 è entrata a far parte del CIO come membro della Commissione Atleti e nel 2018 ne ha preso la guida come presidente, diventando un membro del Consiglio esecutivo. Nello stesso anno viene eletta anche Ministro dello Sport, dell’Arte e della Ricreazione dello Zimbabwe, carica che ricopre ancora oggi.
Una gavetta di tutto rispetto che l’ha portata al vertice di un’organizzazione mondiale e a portare avanti la linea esecutiva avviata da Bach, puntando a migliorarsi e a tutelare sempre di più gli atleti e le atlete di tutto il mondo. Nel suo manifesto, presentato per le elezioni, Coventry pone l’accento sulle nuove generazioni di atleti e atlete, sull’importanza di incentivare ed espandere risorse e programmi per la crescita e il benessere di tutti coloro che sono e saranno coinvolti nel movimento, in modo da poter garantire a tutti le stesse opportunità. La parola chiave della linea di pensiero della neopresidente è inclusività. Tra le priorità del suo programma elettorale è sottolineato quanto sia fondamentale abbattere le barriere, che siano sociali o economiche, ma soprattutto di genere.
La lotta per la parità di genere è uno dei punti centrali del manifesto di Coventry, che si impegna a rafforzare gli sport femminili, promuovendo pari opportunità dagli stadi iniziali del movimento. Lo ribadisce anche nell’intervista rilasciata a Olympics.com: “Per me è una passione poter sfidare lo status quo, abbattere le barriere”, sottolineando di voler essere di ispirazione per le sue due figlie.
Un’aria di cambiamento, dunque, aleggia sullo sport mondiale grazie alla nuova guida del CIO. Tuttavia, mentre a livello internazionale si lavora per favorire inclusività e abbattimento delle barriere, nel panorama sportivo italiano il sistema non è ancora del tutto all’altezza di queste ambizioni. E lo sport più popolare è anche quello che segna la maggiore distanza fra uomini e donne. Il calcio è da sempre considerato uno sport maschile, e seppure negli ultimi anni quello femminile abbia raggiunto dei traguardi storici – primo su tutti l’ingresso nel mondo del professionismo – le barriere sociali, le discriminazioni e le disparità salariali restano un groviglio di fili che nessuno sembra avere voglia di districare. La parità di stipendi tra calciatori e calciatrici, per esempio, in Italia è lontana anni luce anche se raffrontiamo categorie diverse tra loro, e perfino negli Stati Uniti, in cui il ‘soccer’ femminile è addirittura più seguito e praticato di quello maschile, è stata completamente raggiunta solo nel 2022. In merito alla questione si discute ormai da tanto, e uno dei motivi per cui la parità salariale sembra davvero irraggiungibile è dato dal fatto che il calcio maschile interessa nel complesso molte più persone, ma soprattutto muove molti più soldi rispetto a quello femminile.
Un’idea che è stata sfiorata anche da Rafael Nadal, in un’intervista rilasciata nel febbraio 2024 a “El Objetivo”. Il campione spagnolo, rispondendo a una domanda sul femminismo e le pari opportunità, si è espresso in questo modo: “L’uguaglianza, per me, non significa fare regali: quello che voglio dire è che le donne potrebbero guadagnare più degli uomini se generassero più degli uomini. (…) Se Serena Williams genera più reddito di me, voglio che Serena guadagni di più”. Nel tennis, lo stesso montepremi tra uomini e donne è garantito nelle quattro prove del Grand Slam dal 2017, un piccolo traguardo di una battaglia iniziata quasi 50 anni prima da Billie Jean King, campionessa americana e fondatrice dalla WTA.
A prendere parte a questa lotta è stata, negli ultimi anni, proprio Serena Williams, ponendo l’accento su come viene gestita la maternità nel tennis, uno stop che comporta la perdita di punti in classifica e, cosa più importante, guadagni, e che lei stessa si è trovata ad affrontare quando aspettava la sua primogenita. A questo proposito, a inizio marzo è stato raggiunto uno storico traguardo nella storia del tennis femminile: per la prima volta le tenniste riceveranno un congedo retribuito per maternità fino a 12 mesi, grazie al nuovo programma finanziato dallo sponsor saudita PIF. Si tratta di una svolta epocale per il movimento tennistico femminile, che regala una maggiore inclusione e tutela le atlete nella loro carriera. C’è da sperare che sempre più spesso si arrivi al raggiungimento di traguardi come questo, non solo in ambito sportivo. Il supporto reciproco e l’unione per un mondo più equo devono essere alla base dell’agire di ciascuno di noi.
Come cita Kirsty Coventry nel suo Manifesto, ‘I am because we are’.